A tutti noi probabilmente è capitato di apprezzare una materia non tanto per i suoi contenuti ma per la capacità del nostro insegnante di farcela amare. Il ruolo dell’insegnante è molto difficile perché egli non si limita a trasmettere delle informazioni, come potrebbe superficialmente apparire, ma deve essere capace di trasmettere emozioni e carpire quelle dei suoi allievi, deve intuire quali sono le difficoltà di ognuno, che spesso vanno al di là delle difficoltà di apprendimento. Quindi sono necessarie anche competenze relazionali nell’insegnamento
Per i bambini delle elementari la scuola rappresenta un luogo affascinante, dove si imparano le materie scolastiche, ma anche le buone maniere, le regole di convivenza, le norme igieniche. Si stringono relazioni con i compagni che spesso si trasformano in amicizie portate avanti al di fuori dell’orario scolastico. La scuola, dove si trascorrono molte ore della giornata, diventa una sorta di seconda casa. I bambini appartenenti a famiglie problematiche, trovano nella scuola la possibilità di esprimersi, di stare in un contesto sano, di allontanarsi temporaneamente da relazioni difficili e di godere di quella serenità che a casa si può trovare raramente.
L’insegnante che venga a conoscenza di situazioni particolari dovrebbe essere molto discreto ed evitare, anche se inavvertitamente, di divulgare le informazioni ai genitori dei compagni. Infatti, per permettere al bambino in difficoltà di godere delle ore trascorse a scuola, è importante aiutarlo a crearsi una nicchia, un ambiente che sia lontano dalla situazione familiare, di modo che la sua parte sana, le sue potenzialità possano esprimersi e crescere. Se in troppi sapessero dei suoi problemi, rischierebbe di essere considerato “il povero bambino sfortunato”, anche dai suoi stessi compagni, aumentando il suo disagio. Ovviamente è dovere dell’insegnante segnalare le problematiche alle figure di competenza, quale lo psicologo scolastico.
L’insegnante è un modello
Per i ragazzi più grandi i professori possono diventare delle figure da ammirare, dei modelli da imitare e, a volte, possono essere l’oggetto di innamoramenti. L’adolescente, impegnato nel processo di crescita e nella ricerca della propria individualità, è spinto ad allontanarsi dalla propria famiglia e a cercare persone esterne al nucleo famigliare con cui potersi confrontare. In adolescenza si apprendono alcune abilità fondamentali per la futura vita sociale quali: le capacità di ascolto, di comunicazione, di negoziazione di punti di vista differenti e di risoluzione dei conflitti. In genere dovrebbero essere i genitori dei ragazzi ad insegnare loro queste abilità, ma fare il genitore dell’adolescente non è certo un mestiere facile, da un lato per l’opposività dei figli, che in questo periodo tendono ad essere ribelli, dall’altro perché la paura che si allontanino fa sì che si mettano in atto delle difese irrazionali che rischiano di distanziarli ancora di più. In questi casi l’insegnante diventa non solo maestro di scuola ma di vita, in quanto trascorre con gli allievi molto tempo, ha la possibilità di osservarli quando sono in gruppo, è legato a loro emotivamente ma allo stesso tempo non è così coinvolto nelle loro vicende come potrebbe esserlo un genitore.
Da queste brevi considerazioni si può desumere come sia impegnativo il lavoro di docente e come implichi il possedere nozioni che vanno al di là di quelle da insegnare. Egli dovrebbe essere in grado di regolare le sue emozioni, di modularle, per creare uno spazio comunicativo tra lui ed i ragazzi, e, cosa importante, essere un buon osservatore. In poche parole, sono indispensabili competenze relazionali.
…se c’è troppa rabbia
Ad esempio, se ad un professore capitasse di sentire molta rabbia mentre è in aula che spiega, dovrebbe:
– cercare di capire perché, con chi è arrabbiato
– cercare di regolare questo sentimento, evitando di esprimerlo apertamente con i suoi allievi.
Potrebbe essere irato per qualcosa successo al di fuori dell’ambiente di lavoro, in questo caso sarebbe auspicabile non portarsi dietro i propri problemi. Potrebbe avercela con i propri allievi, in questo caso sarebbe meglio chiedersi se è perché essi deludono le sue aspettative, o sono insorti problemi nella relazione.
Qualora insorgessero problemi nella relazione, oppure di apprendimento da parte degli allievi imputabili alla modalità di insegnamento, il docente dovrebbe monitorare attentamente:
– La scelta del lessico: il linguaggio deve sempre adattarsi a quello dell’allievo, tenendo conto dell’età e della cultura. Non si dovrebbe usare un linguaggio troppo complicato, di difficile comprensione, ma neanche troppo semplice perché poco stimolante.
– Il linguaggio non verbale: per aumentare l’interesse negli allievi l’insegnante dovrebbe anche comunicare attraverso i gesti, il contatto visivo, la postura, il tono della voce. Immaginate l’effetto che potrebbe avere un maestro che spiega guardando fuori dalla finestra, con le mani in tasca!
– L’interazione: per tenere viva l’attenzione, sarebbe meglio interrompere di tanto in tanto la spiegazione per porre delle domande. Questo serve anche per fare sentire gli allievi partecipi della spiegazione e per verificare che non vi siano problemi di comprensione. A volte è meglio chiedere un’opinione su quanto spiegato, anziché un riassunto, per evitare la sensazione di essere interrogati.
– L’ascolto: per essere buoni ascoltatori bisogna lasciare che i ragazzi si esprimano, senza cedere alla tentazione che abbiamo un po’ tutti di interrompere, dare consigli, svalutare, interpretare, perché queste modalità costituiscono dei blocchi alla comunicazione.
Se siete persone con una buona capacità di autocritica, e anche coraggiosi per farlo, potete sempre chiedere ai vostri allievi cosa c’è che non va…