L’età della prima gravidanza si è spostata in avanti, nel 2014 le donne italiane mettono al mondo il primo figlio in media a 32,6 anni, contro i 31,8 del 2004. Nel frattempo il numero delle coppie con problemi di sterilità è aumentato, una delle cause potrebbe essere proprio la scelta di posticipare troppo questa decisione. Perciò, il fenomeno della culla vuota è in crescita.
Ci sono coppie che riescono comunque ad essere aiutate attraverso percorsi di procreazione assistita che consentono loro, nonostante le difficoltà, di avere un figlio biologico. Si parla invece di fenomeno della “culla vuota” quando una coppia, per desiderandolo, non riesce a procreare, neppure seguendo i percorsi di procreazione assistita.
Si pensa che, nonostante gli interventi di medicalizzazione, ci siano tre fattori di rischio di tipo non medico che mantengono la condizione di infertilità:
patologie preesistenti del singolo, di tipo psicologico (quali ansia, depressione) o disturbi sessuali (quali scarso desiderio, disturbi erettili…) ;
relazione di coppia precaria;
effetti collaterali legati alle terapie per l’infertilità, che portano a depressione.
Infertilità come trauma
Ricevere la diagnosi di infertilità è un’esperienza traumatica, e comporta complessi risvolti psicologici, sociali e sessuali, tanto da poter compromettere sia la salute del singolo che la stabilità della coppia. Quest’ultima, quando si accorge che la gravidanza non arriva, si sconforta ed inizia a dare segni di sofferenza.
Per questo, se la coppia non riesce da sola a ritrovare un suo equilibrio, ad affrontare il dolore, deve essere aiutata da un terapeuta altrimenti i partner potrebbero lasciarsi.
Le reazioni emotive della coppia alla diagnosi solitamente sono rabbia, frustrazione, accompagnate dall’incapacità di adattarsi a questa nuova situazione. Purtroppo può iniziare la ricerca del colpevole: chi dei due è quello impossibilitato? Se dalle indagini risulta che è la donna ad essere sterile, ella spesso reagisce con grandi sensi di colpa, visto che socialmente ci si aspetta che il procreare sia uno dei suoi compiti: potrebbe finire col pensare che la sua stessa esistenza sia infertile, improduttiva. Se invece è l’uomo a non essere fertile, egli può reagire con rabbia ed interpretare la diagnosi come sintomo di scarsa virilità, a cui possono conseguire dei disturbi sessuali.
Le reazioni
Nel momento in cui la coppia prende atto della sua infertilità, attraversa le seguenti reazioni:
Sorpresa, incredulità: il proprio corpo diventa un estraneo che non risponde alle aspettative di procreare;
Sensazione di impotenza da parte di entrambi i partner per non poter controllare il proprio destino;
Calo del desiderio sessuale e scarso coinvolgimento nell’intimità;
Perdita di equilibrio interiore, con conseguenti sintomi di ansia e depressione.
Quando la coppia inizia a intravedere il fantasma della culla vuota, e non riesce a fare progetti alternativi (ad esempio, l’adozione), entra in conflitto, non comunica più e i membri si colpevolizzano a vicenda. Il concepimento diventa l’unico interesse, a discapito di qualunque altra cosa, come la carriera, i divertimenti… La sessualità è compromessa, perché da ludica e spontanea diventa unicamente rivolta al procreare, perdendo le caratteristiche di intimità e di ricerca di piacere.
Si riduce la propria vita sociale e si evitano i contatti con altre coppie che hanno figli. Tutte le occasioni sociali in cui ci sono bambini risvegliano il fantasma della culla vuota e fanno riemergere la propria impotenza nel generare. La sofferenza è lacerante, vi è molta ansia, equiparabile al vivere una malattia terminale o un dolore cronico.
La psicoterapia
Quando una coppia chiede aiuto ad un terapeuta per superare questa situazione, la si deve aiutare ad elaborare l’accaduto, a ritrovare la serenità e la capacità di amarsi, a prescindere dalla possibilità procreativa.
Il percorso di elaborazione del lutto legato alla perdita della possibilità di procreare segue tre stadi:
la fase della protesta, dove c’è incredulità nei confronti della diagnosi, rabbia verso sé stessi e verso i medici;
stadio della rassegnazione, dove si deve ammettere la perdita e si sperimenta il dolore;
stadio del distacco, in cui si accetta di vivere come coppia anche senza un figlio.
In conclusione, quando i partners non riescono a diventare genitori, bisogna aiutarli a rimanere comunque una coppia, a recuperare una buona qualità di vita, e a ritrovare il sentimento che li univa. Per questo la coppia ha bisogno di provare emozioni positive costruendo nuovi progetti, sia nel breve che nel lungo termine, per tornare a percorrere insieme quel cammino di vita che il troppo dolore aveva compromesso.