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Dott.ssa Alessandra Banche, Psicologa, Neuropsicologa, Psicoterapeuta Cognitivo- Comportamentale, Sessuologa, Pratictioner in EMDR.
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Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, EMDR

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Paura di guarire: il caso di Antonio

Posted on 15 Dicembre 201815 Dicembre 2018 by Dott.sa Alessandra Banche

Il mestiere dello psicoterapeuta è davvero difficile. I pazienti che si rivolgono a lui hanno storie complicate alle spalle e lamentano molti sintomi che impediscono loro di avere una buona qualità di vita. Il terapeuta, oltre a curare la sintomatologia del paziente, deve anche indagare quali sono i motivi che lo portano a chiedere un aiuto. Infatti, può capitare di incontrare persone che, pur stando male, non vogliono guarire e fanno di tutto per boicottare il successo della terapia. A voi lettori tutto ciò potrebbe sembrare assurdo, ma la mente umana è davvero contorta ed in questo articolo proverò a farvi capire cosa succede a questo strano tipo di malati.

Gli psicologi sostengono che molte malattie mentali hanno dei vantaggi secondari, ovvero: stare male ha un certo tornaconto che il paziente non è disposto ad abbandonare. Per questo motivo, quando il paziente inizia a capire che per stare meglio dovrebbe apportare alcuni cambiamenti al suo modo di fare o di comportarsi, oppure dovrebbe prendere delle importanti decisioni, si spaventa e il più delle volte preferisce continuare a soffrire pur di non modificare nulla della sua vita.

Rapporti terapeutici di questo tipo sono dolorosi sia per il terapeuta che per il paziente e il trattamento potrebbe essere destinato all’insuccesso. Il caso di Antonio illustra perfettamente tale situazione.

Antonio è un uomo sulla quarantina che soffre di ansia da oltre 20 anni. Nel periodo delle superiori, in seguito ad uno shock, ha avuto un fastidioso tremolio alle mani che è passato da sé. Qualche anno dopo inizia a soffrire di attacchi di panico ma sottovaluta la cosa. Dopo parecchio tempo si rivolge ad un neurologo che gli prescrive una terapia farmacologica e gli raccomanda di tornare per un controllo dopo sei mesi. Antonio non prenoterà mai questo secondo appuntamento, pur continuando ad assumere gli psicofarmaci prescritti.

Nonostante Antonio si avvicini ai 40 anni, vive ancora con la madre che è rimasta vedova. La sua vita è molto tranquilla, non ha mai avuto una fidanzata perché preferisce occuparsi della madre, ha pochi amici e scarsi interessi. È sempre fuggito da ogni tipo di complicazioni ma l’ultima non ha proprio potuto evitarla: la ditta dove lavorava è fallita e la cassa integrazione sta per finire. Antonio è alla disperata ricerca di un nuovo lavoro, che fatica a trovare. Per ora ha solo avuto una proposta: fare la guardia giurata. Peccato che per avere il porto d’armi, richiesto per fare la guardia giurata, sia vietata l’assunzione di psicofarmaci!

L’ansia di Antonio, per via della disoccupazione, è aumentata e la mamma gli suggerisce di provare la strada della psicoterapia, ma lui non ha fiducia nel metodo. Antonio già nella prima seduta esprime molti dubbi e mi pone vincoli assurdi. Teme che un percorso di psicoterapia potrebbe peggiorare la sua ansia, teme di non avere soldi sufficienti per pagarmi, teme che io sia troppo giovane e poco esperta per un caso come il suo, e inoltre vorrebbe che io lo aiutassi a guarire completamente entro due mesi! Esprimo qualche perplessità relativamente alle richieste del paziente, e gli chiedo come mai non ha chiesto aiuto prima, ma le giustificazioni che trova sono piuttosto assurde. Nonostante abbia lavorato ininterrottamente per anni e sia sempre vissuto a casa con i genitori, sostiene di non essersi mai recato all’appuntamento di controllo dal neurologo per problemi di soldi. Cosa poco credibile, dato che Antonio non ha certo l’aspetto di una persona disagiata.

Spiego ad Antonio che difficilmente potrò aiutarlo a sospendere completamente i farmaci entro due mesi, perché li assume da tanti anni e recentemente ha ancora avuto attacchi di panico.

Appena iniziamo il trattamento, Antonio sminuisce ogni cosa che faccio per lui: considera le mie spiegazioni banali, il rilassamento non lo rilassa, le tecniche di respirazione lo confondono, le tecniche di immaginazione lo distraggono, non compila il diario dell’ansia perché non ha nulla da segnalare….

Ovviamente per me è davvero complicato aiutare Antonio, dato che fa di tutto per sabotare la terapia ed inizia a dirmi che in fin dei conti non sta così male, se non posso guarirlo non importa, potrebbe comunque cercare un altro lavoro, anzi forse preferirebbe.

Un’ora prima di presentarsi al quarto appuntamento, Antonio mi telefona dicendo che ha la febbre e non può venire, nonostante dalla sua voce non traspaiano segnali di particolare malessere. Mi promette che mi chiamerà lui non appena sarà guarito. Antonio dopo quasi due anni non ha ancora richiamato…

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