Le persone con disturbo di personalità evitante sono timide e schive. Fuggono dalle occasioni sociali perché hanno paura del rifiuto, ma in cuor loro vorrebbero tanto essere accettati. Il loro comportamento potrebbe farli sembrare personalità schizoidi, e in effetti, le differenze tra i due disturbi possono essere sottili. Entrambi i tipi prediligono la solitudine, evitano gli altri, ma sembrerebbe che la personalità evitante stia solo spinto da una forte vergogna per sé stesso. Insomma, l’ansia sociale è una componente fondamentale.
La forte timidezza che li caratterizza sembrerebbe avere origini genetiche, ma indubbiamente l’evitante ha vissuto alcune esperienze che gli hanno fatto “capire” che è meglio starsene in disparte. È possibile che genitori severi, e, al contempo timidi, lo abbiano sgridato quando ha fatto qualcosa di “vergognoso”. È anche possibile che, per predisposizione personale, egli possa essere molto sensibile alla disapprovazione fin dalla più giovane età. Un rimprovero è equiparato ad un’offesa!
L’evitante ha una bassa autostima. Pensa di non essere affascinante e dà per scontato che nessuno possa interessarsi a lui, quando egli invece ne avrebbe un immenso bisogno. La sua vita è un continuo evitamento. Scappare è l’unico modo che conosce per proteggere la poca stima di sé. Questa modalità interessa ogni ambito di vita ed è altamente limitante per quel che concerne la realizzazione personale. La sua esistenza potrebbe essere costellata di rimpianti, di cose non fatte, di rimugini.
Nelle relazioni intime non riesce ad “aprirsi” veramente, a lasciarsi andare, perché la sua paura di essere giudicato come inadeguato è troppo elevata. Il partner ha come la sensazione che egli abbia qualcosa da nascondere, di non conoscerlo a fondo, ed in effetti potrebbe essere così…
Le prestazioni lavorative sono compromesse. In gruppo, le difficoltà a dare il proprio contributo rischiano di farlo apparire poco brillante. Il timore delle critiche può bloccare la creatività, impedire di prendere delle iniziative personali, di assumere delle responsabilità: solo rimanendo nell’ombra si può avere la certezza di non sbagliare, di non farsi notare.
Riguardo alle amicizie, non è certo l’evitante a prendere l’iniziativa. Egli deve essere sicuro di piacere prima di avvicinarsi a qualcuno. Non è tipo da organizzare una serata, da proporre un invito, perché un rifiuto sarebbe vissuto come una conferma di essere una persona non attraente. Il disagio è maggiore in presenza di persone nuove, da cui teme maggiormente delle critiche.
Una vita di questo tipo provoca molta sofferenza. È come se l’evitante sentisse dentro di sé dell’energia a cui non può mai dare sfogo perché qualcosa di inspiegabile glielo impedisce. Col tempo, si entra facilmente in un circolo vizioso: il non osare mai, anche se protegge dalle critiche, impedisce di ricevere complimenti, di sentirsi “bravo”. È sempre più difficile essere appagati e, a forza di scappare, ciò che spaventa diventa sempre più spaventoso.
In terapia si insegna alla persona evitante a mettersi alla prova. Solo con i rimandi positivi che egli avrà dopo le sue prestazioni potrà acquisire un po’ alla volta fiducia in sé stesso.